La salita dei giganti by Francesco Casolo

La salita dei giganti by Francesco Casolo

autore:Francesco Casolo [Casolo, Francesco]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788858845813
editore: Feltrinelli Editore
pubblicato: 2022-02-18T10:35:12+00:00


Due

Mia amata tesorina,

Ti scrivo queste due rigghe per dirti che ti voglio tanto bene. Io non vivo che per te, tu sei la mia speranza, la mia vitta, tutto il mio cuore. Caro amore mio tanta amata io ti ho vista con un giovanotto. Qui è questo giovanotto? È forse lamante tuo? Se ciò fosse, io mi ammazzerei col pugnale nel cuore. Perché quando ti vedo vado in brodo. Dimmi, mi amerai tu. Sono io il tuo amore unico?

Baccioni, tanti tanti dal­l’amore tuo

A partire dalla pulce che le si era infilata nel­l’orecchio al ruscello – Albertina era innamorata, Albertina pensava a un uomo, Albertina si sarebbe sposata –, cambiò tutto anche per Genia.

E non ci volle molto perché capisse – prima osservando senza requie sua sorella e poi, non tanto tempo dopo, direttamente sulla propria pelle – che se la perdita di una persona cara – e lei ne aveva già perse due, il papà e il nonno – era un dolore fortissimo allo stomaco, in alcuni casi un pugno sferrato con violenza, l’amore era pura febbre.

Un giorno ti ci ammalavi senza aver avuto nemmeno il tempo di accorgertene e dunque di difendertene, e non potevi più decidere quando farla smettere, né portarla a temperature più accettabili. Ti prendeva senza chiedere, senza motivo e al­l’improvviso, e non contava neppure che ci fosse una persona precisa a cui rivolgere quel­l’amore: era più come uno si sentiva, quello che uno era diventato.

Si era esposti e ci si ammalava facilmente.

Quella febbre covava dentro di te, e bastava un’occhiata, un tocco o un particolare, e subito saliva la temperatura. Ti faceva tenere gli occhi bassi, perché quando ti scappava uno sguardo su quella certa persona avvertivi un’emozione così forte e irragionevole che poi come facevano gli altri a non accorgersene, o tu a non farti scoprire? Ne facevi il nome ed era come se stesse suonando un campanello. Peggio, rimbombando un tuono.

L’amore arrivava in corsa, non c’era trotto, era tutto galoppo: un’estate eri accanto al torrente a giocare a schizzarti con tua sorella Albertina e quella dopo, se glielo proponevi, lei ti guardava come se fossi mezza scema.

Era quello.

Lanciavi un sasso nel­l’acqua per bagnarla e, mentre in un tempo non così remoto ne avreste riso assieme come matte, quel giorno le facevi saltare i nervi: “Guarda! Mi hai bagnata tutta! Sei cretina, idiota, brutta, mi si sciupa il vestito”. Oppure, quando le cose andavano bene, lei ti spiegava perché si sentiva così strana, ma più provava a spiegartelo, più a vincere era la sensazione di un rompicapo, di un enigma impossibile da sciogliere.

Era quello.

Era Albertina che adesso si commuoveva più facilmente, piangeva per un nonnulla, controllava meno bene le emozioni.

Le tornarono in mente le lettere della mamma. Anche per lei, per la mamma più che per tutte, l’amore doveva essere stato un incantesimo: in quegli scritti usava parole ed espressioni che nemmeno sembravano sue e che solo una strega o una fata o un mago potevano averle suggerito.

Era Cupido che lanciava le frecce: sembrava un mito sciocco, una leggenda, ma quando ti colpiva non lo pensavi più.



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