Autoritratto by Gabriella Giannachi

Autoritratto by Gabriella Giannachi

autore:Gabriella Giannachi [Gabriella Giannachi]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2023-04-18T00:00:00+00:00


• Scolpire l’azione: Giuseppe Penone, Gilberto Zorio e l’arte povera

L’espressione “arte povera” viene coniata dal critico d’arte Germano Celant per definire una forma che esiste non tanto come oggetto, quanto come ambiente formato da materiali e processi quotidiani. Nei due testi di presentazione delle mostre Arte povera organizzate a Genova e a Bologna nel 1967, Celant richiama «il tema dell’“esserci”» e i «concetti di “pura presenza” e “presenza fisica”» dell’artista (Celant, 2011, p. 196). L’arte povera, tuttavia, più che indagare sull’ontologia della presenza dell’artista si concentra sul processo coinvolto nella creazione artistica e sulle relative tracce lasciate nelle opere. Celant (in Celant, Fuchs, Bertoni, 1988, pp. 11-12) osserva che mentre nei primi anni Sessanta la scena artistica è definita dall’action painting e dalle avanguardie storiche, con gallerie che, come Sperone a Torino, privilegiano la pop art e la minimal art, dopo il 1968 l’antiminimal e l’antipop prendono il sopravvento e gli artisti iniziano a lavorare con materiali “poveri” e a documentare queste «trasformazioni, distruzioni e ricostruzioni» nel tempo e nello spazio. Così, con l’arte povera, l’attenzione si sposta dall’oggetto al processo, dall’essere al fare (Barilli, 1970) e, di conseguenza, dalla scultura allo scolpire (intagliare, tagliare ecc.).

I processi di trasformazione sono al centro di diversi lavori di Gilberto Zorio e Giuseppe Penone. L’Asse spezzato (1967) di Zorio, per esempio, è composto da una tavola di legno spaccata e da un tubo di gomma arancione fluorescente. La creazione di quest’opera comporta un’azione – la rottura della tavola – di cui lo spettatore può vedere la conseguenza. Per Zorio (in Celant, Fuchs, Bertoni, 1988, p. 15) «ogni essere umano è un contenitore di minerali e d’acqua, le sue vene, o i suoi polmoni ed organi sono un laboratorio chimico straordinario, fatto di tubi e di alambicchi». Zorio intende mostrare come i materiali cambino grazie a rituali e processi alchemici. Il suo Autoritratto (1972), per esempio, nasce da «un lavoro in cuoio» (ivi, p. 19) con il suo volto in rilievo, dove al posto degli occhi ci sono due stelle, simbolo ricorrente nelle sue opere. Al buio, le stelle fluorescenti si illuminano (Guralnik in Eccher, Ferrari, 1996, p. 213), trasformando la pelle in una maschera in cui l’artista appare sotto forma di energia. Invece il diametro del Cerchio di terracotta (1969) viene creato dall’artista girando su sé stesso con le braccia aperte. Qui la forma del cerchio documenta l’azione che ha generato l’opera stessa. Per Jean-Christophe Ammann (in Eccher, Ferrari, 1996, p. 178), l’energia emanata dalla creazione del cerchio di terracotta definisce un cambiamento di forma legato a un aspetto della materia, alla possibilità di pianificare passato, presente e futuro. Il tema qui non è il soggetto come essere o presenza, o come rappresentazione, ma piuttosto come traccia dell’azione o dell’energia lasciata dal processo di creazione. In altre parole, l’artista pervade concretamente l’ambiente prodotto dalle sue azioni: l’opera d’arte si compone (ed è traccia) di un’ecologia più ampia e dell’ambiente che ne deriva.

Soffio (1978) di Penone è un oggetto d’argilla a cui l’artista dà la forma che secondo lui ha il suo fiato quando espira.



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