A questo serve il corpo by Roberta Scorranese

A questo serve il corpo by Roberta Scorranese

autore:Roberta Scorranese
La lingua: ita
Format: epub
editore: Bompiani
pubblicato: 2023-08-16T00:00:00+00:00


14.

REBECCA

Da quando non faccio più nulla, la mia casa è diventata un paesaggio ogni giorno nuovo, che osservo nei dettagli meno evidenti. Il muro che sovrasta lo stipite della porta del soggiorno è un po’ curvo, per esempio. Il pavimento non è esattamente bianco, come ho sempre pensato: ho cercato mentalmente per ore il nome di quella sfumatura ma senza impegno, ho deciso subito di accontentarmi di bianco sporco. Un tempo non avrei avuto pace: mi sarei messa a consultare dizionari, amici linguisti, romanzi, vocabolari online. Avrei trovato la definizione precisa e poi, trionfante, sarei passata a una nuova caccia, dimenticando la parola perfetta, inseguita per giorni e giorni.

Ma quello è ormai un altro tempo. Oggi mi faccio bastare le approssimazioni. La stanza dove ho sistemato la mia poltrona al mattino è di un color rosa chiaro, poi, verso mezzogiorno, si accende e a metà pomeriggio sembra di essere immersi in una siepe di lavanda. Ho notato che c’è una parte della libreria con i volumi ordinati per altezza. Nella mia vita di prima tutto scorreva secondo un rigoroso ordine numerico, i giorni, gli impegni, l’ordine delle priorità, le urgenze da mettere in cima alla lista, con quelle nuove, pigolanti come pulcini, che rimpiazzavano le vecchie nel giro di qualche ora. Ogni cosa era rivestita di un’intima e solenne importanza. La telefonata da fare, l’incontro da rimandare, il messaggio di scuse da spedire, il regalo da scegliere e la cena da organizzare. E poi le lettere, i viaggi, le scadenze. Tutto aveva il sentore caldo dell’impellenza.

Color perla. Forse è questa la sfumatura giusta. Ma no, non lo è.

Non ricordo quando ho tinteggiato di rosa la stanza dove ho sistemato la poltrona, cuore della mia nuova vita di osservatrice. Dieci anni fa? C’era ancora Raul? Ma sì, l’abbiamo fatto assieme: lui mescolava la vernice e io passavo il rullo. È strano come la vita di prima si palesi oggi sotto forma non tanto di ricordi compiuti, dunque di sensazioni intime, quanto sotto forma di episodi precisi, scolpiti nell’aneddoto e vivi come uno spettacolo inscenato apposta per me. Inscritti nel patrimonio comune di sottintesi, allusioni scherzose, rimandi in codice che ogni famiglia costruisce negli anni, unico e speciale. “Ma ti ricordi quella volta che hai preso le ferie solo per stirare una montagna di biancheria?” capita che mi chieda all’improvviso Giovanna, mia figlia. Io so bene che non lo dice per sottolineare la qualità ristagnante della mia nuova vita da osservatrice: lo fa piuttosto perché ha bisogno di dirsi, che da qualche parte, nel tempo, sua madre è stata un’altra.

Ed è vero, c’è stata una Rebecca che si prendeva le ferie per stirare, che si alzava alle sei del mattino per sistemare la libreria, che non si addormentava senza aver letto almeno cinque pagine, che aveva bisogno di vedere un certo film perché poi in ufficio i colleghi ne avrebbero parlato. Una Rebecca che non si sarebbe accontentata di una definizione banale come bianco sporco. Lei avrebbe cercato ancora. Compiaciuta della sua irrequietezza senza capo né coda, un po’ infantile.



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