Una bambina perduta by Torey L. Hayden

Una bambina perduta by Torey L. Hayden

autore:Torey L. Hayden [Hayden, Torey L.]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Psychology, Developmental, Child
ISBN: 9788867008094
Google: OpfiDwAAQBAJ
editore: Corbaccio
pubblicato: 2020-05-26T22:00:00+00:00


Capitolo 17

Giovedì ci fu una riunione: io, Meleri, Ben, altri due assistenti sociali, un altro rappresentante dell’associazione per cui lavoravo e, considerato che il caso di Joseph era ancora aperto, un’agente di polizia di nome Ceridwen Davies, Crid per tutti.

Partimmo parlando apertamente dei problemi di Jessie. Ben, lo psicologo infantile, parlò diffusamente del disturbo reattivo dell’attaccamento, e di come il mentire diventi un comportamento radicato in questi bambini. Spiegò come un neonato sia totalmente dipendente dagli altri per sopravvivere, e di come la sua vita sia un veder soddisfatti i suoi bisogni... ha fame, viene nutrito, è sporco, viene cambiato, è nervoso, viene confortato e calmato. Quando le necessità vengono soddisfatte, impara a fidarsi del fatto che gli adulti si prendano cura di lui. Quando questo non accade, o accade in modo incostante, il piccolo apprende che delle persone non si può fidare, che il mondo non è un posto sicuro, che il prossimo non si interessa a lui. Spiegò che è in quel primissimo periodo dell’infanzia che l’abitudine di mentire comincia a instaurarsi. Il bimbo impara a far fronte alle cose raccontandosi bugie: «Va bene se la mamma è andata via. In realtà non ho bisogno di lei. Non ho bisogno di mangiare adesso. Non voglio che qualcuno giochi con me. Posso badare a me stesso». È un modo, per lui, di assumere il controllo della situazione. Una tecnica di sopravvivenza.

Dovevamo tenere bene a mente una cosa: che Jessie mentiva per salvarsi. Non per dar noia alla gente, o per ingannarla, ma per sopravvivere. E fino a quel momento aveva funzionato. Era ancora qui. Questo significava che probabilmente ricorreva alla menzogna ogni volta che si sentiva minacciata. Nel trattare con Jessie, era importante – si raccomandò Ben – non permetterle di metterci l’uno contro l’altro. Dovevamo presumere che ci avrebbe raccontato versioni diverse di quanto era accaduto con Joseph, una per ciascuno di noi, nessuna delle quali forse avrebbe combaciato con la dichiarazione resa da lui alla polizia. L’unica risorsa a nostra disposizione era raccoglierle tutte e vedere se fossimo riusciti a distillare una qualche verità. Era la chiave per lavorare con Jessie. Dovevamo parlare tra noi. E assicurarci che ciascuno fosse a conoscenza di ciò che la bambina stava raccontando agli altri. Dovevamo fidarci l’uno dell’altro perché non potevamo fidarci di lei. E aggiunse anche un’altra cosa. Era importante che ciascuno di noi le lasciasse intendere che, anche se non credevamo che stesse dicendo la verità, e che non le avremmo permesso di farla franca con le sue bugie, potevamo comunque prenderci cura di lei, volevamo aiutarla.

Poi, un altro assistente sociale articolò quello che mi stava frullando per la mente. E se Jessie era stata realmente abusata, a Glan Morfa? Come avremmo potuto saperlo?

Ah, fece Ben, dovevamo tenere conto del fatto che, nonostante tutte le menzogne, esisteva la possibilità che, ogni tanto, dicesse la verità.

Un bel caos. Dovevamo presumere che la bambina stesse mentendo, ma essere vigili perché era possibile che così non fosse. Dovevamo presumere che Joseph fosse il responsabile, ed essere aperti all’eventualità che non lo fosse.



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