Coltello by Salman Rushdie

Coltello by Salman Rushdie

autore:Salman Rushdie [Rushdie, Salman]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Mondadori
pubblicato: 2024-03-22T12:00:00+00:00


Parte seconda

L’ANGELO DELLA VITA

5

Ritorno a casa

Secondo i piani avremmo dovuto lasciare il Rusk alle tre del mattino, nel modo più silenzioso possibile, e raggiungere Mercer Street attraversando la città notturna poco affollata, per sfuggire agli sguardi indiscreti. All’una avevo già fatto i bagagli ed ero pronto. Eliza è arrivata un’ora dopo, accompagnata dalla nostra cara amica Suphala, straordinaria suonatrice di tabla, in funzione di supporto morale. Ci siamo abbracciati, felici. Eliza era sotto stress, ma cercava di non darlo a vedere, perché io ero al culmine dell’euforia. (La sua tensione, comunque, la notavo.) Ci è stata consegnata una busta con tutti i documenti per la dimissione, uno schemino per i farmaci da prendere, alcuni flaconi di pillole (antidolorifici, se necessari; Lipitor; e qualcosa per tener su la pressione), un inalatore per l’asma e un unguento antibiotico per l’occhio. Ho indossato il mio bustino chiuso con il velcro per essere certo di riuscire a camminare senza che mi girasse la testa. A quel punto è arrivato un uomo della scorta privata insieme a un agente della polizia di New York, e siamo usciti dalla stanza. Il giorno prima mi avevano condotto nel seminterrato per permettermi di vedere la porta di servizio che avremmo usato, familiarizzare con il percorso e accertarmi di essere in grado di salire i pochi gradini che portavano al livello della strada. “Sono arrivato qui in barella e me ne sto andando sulle mie gambe” ho pensato, concedendomi un attimo di autocompiacimento. Ad attenderci c’era un grosso SUV, una Cadillac Escalade con il motore già acceso. Non è stato facile salire a bordo usando una sola mano, ma ce l’ho fatta senza aiuti. Anche Eliza e Suphala si sono accomodate, e siamo partiti.

Non avevo mai provato un simile entusiasmo girando in auto per Manhattan. Ricordo una sensazione analoga, su un taxi che mi stava portando a casa il 29 giugno 2016, dopo che avevo ottenuto la cittadinanza americana. Quel giorno, all’improvviso, la città mi pareva diversa, come se finalmente mi appartenesse o io appartenessi a lei. Era stata una sensazione fortissima. Questa volta, la sensazione è stata ancora più intensa. Mentre procedevamo senza intoppi nella notte di New York, ho fatto una promessa a me stesso: “Mi riprenderò la vita in questa città il più possibile, e al più presto”.

Siamo entrati nel palazzo in Mercer Street, e il custode ci ha rivolto un cenno di benvenuto senza dar l’impressione di averci riconosciuto. Siamo saliti, e mentre entravamo nello splendido appartamento dei nostri amici ho pensato: “Sono libero. Sono vivo e libero”. Erano le tre e mezzo del mattino, e io mi sono subito coricato in un letto grande, comodo e, di certo, non strillante. Eliza si è stesa accanto a me, ed è scoppiata in un pianto improvviso e incontrollabile: tutto lo stress accumulato trovava finalmente sfogo.

«Mio marito è a casa» singhiozzava. «Mio marito è a casa.»

* * *

Ci sono momenti, come questo, in cui è doloroso descrivere quel che è successo.

* * *

Siamo riusciti a dormire principescamente fino a tardi: niente prelievi alle quattro, infermiere alle cinque o medici alle sei.



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