L'amante palestinese by Sélim Nassib

L'amante palestinese by Sélim Nassib

autore:Sélim Nassib [Nassib, Sélim]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Edizioni e/o
pubblicato: 2023-11-14T23:00:00+00:00


5 Un uomo, un umano.

Capitolo nono

Hebron. 1929

Golda scende dal treno e si dirige rapidamente all’uscita. Una calura pesante la inchioda al marciapiede della stazione, più opprimente di quella del deserto di Beersheba da cui sta tornando. Non un alito di vento. L’aria satura di umidità è come un ostacolo madido in cui bisogna penetrare. Stringe il manico della valigia, la casa è a dieci minuti di distanza. È giovedì, è mezzogiorno, è in ritardo di ventiquattro ore, non serve più a molto affrettarsi – eppure cammina spedita.

Non c’è ombra di traffico. Appoggiati al muro ci sono una decina di disoccupati, unica presenza umana sotto il sole. Golda si ferma per attraversare. Conta cinque palazzi mai terminati, lasciati all’abbandono. Forse il viaggio nel deserto ha cambiato il suo sguardo. Le sembra che Tel Aviv sia una città fantasma, che la notevole energia di cui ha avuto bisogno per venire via dalle sabbie sia svanita. Scuote la testa: è il caldo torrido, il mese di agosto. La gente ha abbandonato la città, i più ricchi in viaggio, i britannici in permesso, i dirigenti ebrei al congresso sionista di Zurigo...

Salendo le scale, sente aprirsi la porta e alcuni passettini precipitarsi giù per i gradini verso di lei. Ima! Ima! Le grida dei due figli riecheggiano nell’edificio come nel suo cuore. Posa la valigia e allarga le braccia. I bambini si stringono a lungo a lei, tra risate e lacrime. In ginocchio sul pianerottolo, Golda li bacia ancora e poi ancora, prima di poter dire le prime parole.

«Dovevo tornare ieri, lo so...». Dai loro volti raggianti vede che l’hanno già perdonata. «Ma oggi non vado a lavorare. Potremo rimanere insieme fino a sera!».

Menachem e Sarah le ballano intorno e gridano. Sembrano così contenti che le vengono le lacrime agli occhi. La baby-sitter arriva per prendere la valigia. Golda sale in casa con i bambini che le si aggrappano addosso.

Armeggia in cucina, prepara il pranzo, alcuni biscotti, un dolce. Menachem e Sarah si sono legati un grembiulino in vita. Le stanno tra i piedi, parlano contemporaneamente, le danno notizie di Morris, da cui hanno trascorso l’ultimo shabbat... Eccola nella loro camera mentre riordina, rammenda, cuce, sostituisce i bottoni mancanti. La interrompono di continuo per mostrarle i loro disegni, per riprendersi il presente. Tutto è rapido e insieme lento. Con energia e dolcezza, Golda si comporta come se la sua fosse una casa – e lei una vera madre ebrea.

Apparecchia lei stessa. Annoda i tovaglioli al collo dei bambini, li serve, li osserva mangiare. La sua carne, il suo sangue. Menachem divora tutto con appetito guardandola con occhi brillanti. Sarah, la più piccola, ha bisogno di aiuto. Bussano alla porta. Golda posa la forchetta.

Sul pianerottolo c’è un giovane arabo, alto, pelle abbronzata, labbra carnose. Una vampata di calore sale alle guance di Golda, pensa che sia stato mandato da Albert. Il ragazzo apre la bocca, è ebreo, parla ebraico. Tornata in sé dopo un momento di confusione, Golda gli chiede di ripetere ciò che ha appena detto.

«Ben Zvi vuole vederti a Gerusalemme.



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