Baldus by Teofilo Folengo

Baldus by Teofilo Folengo

autore:Teofilo Folengo [Folengo, Teofilo]
La lingua: ita
Format: epub
editore: UTET
pubblicato: 2012-12-31T23:00:00+00:00


LIBRO DODICESIMO

Era la stagione nella quale il sole scalda le corna del Toro, che porta sul dorso Europa per le profumate plaghe del cielo. Così la terra fecondata da nuova rugiada, si cinge intorno una nuova gonna ricamata di fiori: dovunque i boschi si coprono di fronde, da ogni parte le selve sciolgono al sole alto nel cielo capigliature verdi. Invita al sonno sull’erba, all’ombra, l’usignolo, un uccello che non pare mai stanco di cantare in gorga la sua canzone, né di giorno né di notte, sia quando Apollo fa correre i cavalli aggiogati al carro, sia quando Diana di notte spruzza la sua rugiada. Le sorgenti versano abbondanti ruscelli fra le erbe e bagnano con piccole onde tremule i prati novelli che la dea Primavera abbellisce di fiorellini variopinti. Questa era la stagione, quando insieme Baldo, Cingar e il prode Leonardo smontarono dai cavalli non lontano da Chioggia e distesero le membra su un prato nuovo all’ombra. Là un pino alza al cielo la chioma folta, che con le foglie impedisce il passaggio del calore del sole e sparge un’ombra molto fresca sotto le sue fronde. Là slacciano gli elmi dal capo e depongono le corazze e riprendono nuovo vigore al soffiare dello zefiro; e là con lunghi discorsi e molte parole Leonardo rivelò a Baldo il suo antico affetto così che ne nasce un sodalizio che non potrà mai esser sciolto: infatti conversando insieme gli amici si legano tra di loro. Ma mentre i due sussurrano queste cose con tranquillo colloquiare, Cingar alleggerisce i cavalli delle selle e mette loro la cavezza, poi li fa voltolare sull’erba e stallare; e mentre li fa stallare fa insieme scorregge con la bocca e, scorreggiando, con la lingua grida «oh oh!». Non lontano di là c’è il mare di Adria e il golfo di Venezia, verso il quale Cingar si dirige per far diguazzare i cavalli; e mentre va, canta allegro la Titalora. Come entra nel porto di Chioggia, subito prende prudentemente in mano dalla tasca la borsa dei denari, perché non gli sia tagliata di nascosto: questa è una caratteristica, una specifica dote, di quella popolazione. Trova là, ferma all’ancora, una caracca di mole immensa, che, panciuta, stazza sei mila botti. Questa si prepara ad andare in Turchia, carica di molte cose, non appena le si offra l’Austro favorevole. Immediatamente Cingar chiama e fa cenni al capitano, gli parla e gli promette di pagare con buona moneta se vuol condurre in Turchia, nella patria dei Mori, tre compagni e altrettanti cavalli. — È una cosa difficile — risponde il marinaio, — e non so trovare la maniera di risolvere una simile faccenda, perché tra poco verranno trenta pecorai tesini, di quelli, voglio dire, che hanno una grande quantità di pecore e, pieni di pane di miglio e di polenta grassa, stanno per caricare questa nave di pecore tesine. Cingar a lui: — E con ciò? su, capitano mio, accogli dei compagni cortesi, ti pagherò il doppio. Siamo tre e poca gente richiede poco spazio.



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