Anche se non penso, Sono by Itsuo Tsuda

Anche se non penso, Sono by Itsuo Tsuda

autore:Itsuo Tsuda [Tsuda, Itsuo]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Mente; Corpo; Spirito
ISBN: 8879840096
editore: Luni Editrice
pubblicato: 1992-01-20T23:00:00+00:00


XII

I paraocchi

Durante uno stage, ho fatto una battuta:

«I medici sanno leggere e scrivere? Mi sono posto la domanda perché una persona ha telefonato all’organizzatore, chiedendogli il rimborso della quota. “Sono abituato a prendere medicine” ha detto “e dopo la seduta, mi sono sentito più malato di prima”».

A dispetto della documentazione messa a sua disposizione, a dispetto delle opere che ho pubblicato, questo medico sembra non essere al corrente di niente. I-Io fatto il possibile per informare la gente, ma se non leggono, se non ascoltano, è tutta fatica sprecata.

Capirei se si trattasse dei suoi clienti che arrivano con dei paraocchi solidamente attaccati. Il loro sguardo è fissato su di un punto dello spazio e trovano che la vita sia tutta nera. Chiedono che si renda la vita meno nera, che la si sbianchi, se possibile. In effetti ci sono mezzi sempre più perfezionati per ottenere un tale risultato.

È il suo mestiere di medico quello di prestare il servizio richiesto dai clienti, che sono paralizzati da paure di tutti i generi, e che hanno la testa ingombra di vecchi clichés.

La questione, per noi, non si pone allo stesso modo, perché si tratta di togliere questi paraocchi e di avere una visione più ampia. Si scopre allora che la vita non è solamente nera, ma di tutti i colori; c’è luce e ombra; ci sono alti e bassi. Perché accanirsi a sbiancare il nero, ad appiattire tutte le asperità? Invece di lottare contro la natura, la lasciamo lavorare.

All’epoca delle diligenze, si attaccavano i paraocchi ai cavalli perché non si allontanassero dalla strada da seguire. È lo stesso con gli uomini. Per organizzare la vita sociale, si adottano i paraocchi, alcuni imposti d’autorità, altri scelti volontariamente.

La mia intenzione non è di condannare o distruggere questi paraocchi. Di paraocchi ce ne saranno sempre. Indico soltanto il modo per uscirne, almeno una volta al giorno, per sentirsi liberi. A condizione, tuttavia, che si prenda coscienza di questi paraocchi.

È un lavoro di lenta evoluzione interiore. Non è una soluzione istantanea.

Quando si viene al movimento, bisogna almeno capire di cosa si tratta. Quando si entra in una sala in cui dei musicisti stanno suonando musica da camera, un quartetto per esempio, ci si astiene dal gridare «Capo! Una bistecca con patate fritte. Un quartino di rosso. Svelto. Ho fame!»

Se non si capisce si va via, lasciando la gente in pace.

Rispondere alle esigenze dei clienti coi paraocchi, o insegnare a disfarsene, sono due cose completamente differenti. Non bisogna confonderle.

Dopo la seduta, la sera, l’organizzatore mi dice:

«Era qui, il dottore, proprio dietro di lei».

«Sì, l’ho sentito. Ben gli sta. Bisogna che sappia almeno dove s1 trova».

Com’è difficile far passare un messaggio molto semplice! Se è complicato, la gente capisce, o fa finta di capire.

Durante un altro stage, una donna venne verso di me.

«Ho una domanda da farle».

«Sì?»

«Il medico mi ha tolto un rene. Vuole togliere l’altro. Cosa bisogna fare? Sono venuta solamente per questo».

«Lei non ha capito niente di quello che ho detto da tre giorni a questa parte. Tutte le mie spiegazioni sono passate da un orecchio all’altro».



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