The idea of you by Robinne Lee

The idea of you by Robinne Lee

autore:Robinne Lee [Lee, Robinne]
La lingua: ita
Format: epub
editore: SPERLING & KUPFER
pubblicato: 2024-04-07T12:00:00+00:00


Domenica, dopo due giorni di ozio, Hayes divenne irrequieto.

«Ti prego, resta» mi supplicò spaparanzato sul letto, da dove mi stava guardando prepararmi per la mia quinta e ultima giornata alla fiera.

Erano le undici e un quarto, e dovevo essere al Grand Palais entro mezzogiorno. «Mi avrai tutta per te, domani. Promesso.»

«Non è abbastanza. Ti voglio adesso.»

Scoppiai a ridere, chiudendo la lampo della gonna. «Di nuovo?»

Sorrise, appoggiando la guancia sulle braccia incrociate, con i capelli vaporosi e scompigliati, e addosso solo un paio di boxer Calvin Klein. «Voglio solo stare con te. Non andare. Ti prego.»

Finii di mettermi gli orecchini e l’orologio di Hayes, poi mi avvicinai a lui, prendendogli il viso fra le mani. «Sei davvero, davvero, davvero irresistibile. Lo sai. Ma devo lavorare. Per favore, rispettalo.»

Rimase sdraiato lì, lasciando che gli scompigliassi i capelli e lo baciassi sulle labbra, senza rispondere.

«Ti scrivo più tardi, okay? Okay?»

Annuì. Quello era Hayes, vulnerabile.

* * *

Quel pomeriggio il Grand Palais mi sembrò un po’ più spazioso del solito, e riuscivo a sentirla nell’aria: la fine di una bella esperienza. Avevamo due opere ancora invendute, e con Lulit stavamo già parlando di Miami, a dicembre. Dell’installazione, delle feste… Non erano ancora le tre e mezzo quando alzai lo sguardo e vidi Hayes avvicinarsi al nostro stand.

«Sai che giorno è oggi?» esordì. Niente saluto, niente bacio.

Io e Lulit ci scambiammo un’occhiata.

«Domenica? Il ventisei ottobre? L’ultimo giorno della fiera?»

«È l’ultimo giorno dei tuoi trent’anni» replicò.

«Sssh» disse Lulit ridendo. «Non si dicono queste cose ad alta voce.»

«Scusa. È vero…» Si interruppe mentre una coppia francese che stava ammirando una delle sculture di Kenji Horiyama si allontanò dallo stand. «Allora…» continuò, avvicinandosi a me, «la porto via.»

«Come, scusa?» domandò Lulit.

«La porto via» ripeté Hayes, avvolgendomi il polso con la mano. «Posso portarla via? La porto via.»

«Hayes, sto lavorando.»

«Sta lavorando.»

«È il tuo compleanno e siamo a Parigi.» Il suo viso angelico mi spezzò un po’ il cuore.

«Lo so e lo apprezzo, ma abbiamo tutta la giornata di domani. E stasera.»

«Se compro qualcosa, farà differenza?» Si mise a osservare le pareti.

«Non voglio che tu lo faccia.»

«E se io volessi farlo?»

«Non voglio» ribadii.

Lulit a quel punto incrociò il mio sguardo, e l’espressione che lessi sul suo viso mi lasciò di sasso. Stava considerando la proposta. Sapeva bene che si sarebbe spinto al limite per concludere l’affare. Il suo sguardo disse tutto: Andiamo. A vendere. Opere d’arte. A ricchi uomini bianchi.

«No.» Scossi la testa.

«Cosa c’è di ancora disponibile?» Si rivolse a Lulit. «Mi ha detto che avevate ancora due opere. Quali sono?»

«Ce n’è una di Ramaswami. E una delle sculture di Kenji.»

«Quale di Ramaswami?» chiese, e Lulit gliela indicò.

Le opere di Nira Ramaswami, generalmente olio su tela, descrivevano la condizione delle donne nel suo Paese natale, l’India. Figure sconsolate nei campi, giovani donne sul ciglio di una strada, spose fiduciose il giorno delle nozze. Volti commoventi, appassionati, con occhi scuri ed espressioni solenni. Erano sempre state coinvolgenti, ma lo stupro di gruppo a Delhi nel dicembre del 2012 aveva provocato un picco di interesse sull’argomento, e l’aveva resa improvvisamente un’artista molto richiesta.



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