Premiata Ditta Sorelle Ficcadenti by Andrea Vitali

Premiata Ditta Sorelle Ficcadenti by Andrea Vitali

autore:Andrea Vitali
La lingua: ita
Format: azw3, mobi, epub
editore: Rizzoli
pubblicato: 2015-02-26T23:00:00+00:00


72

Don Pastore la sentì arrivare.

Anzi la vide, sbirciando dalla finestra della sua camera. Si tirò un po’ indietro. Adesso toccava alla Rebecca agire secondo istruzioni.

Infatti.

«Al ghè minga!» disse la perpetua rispondendo alla richiesta della Stampina.

«E dov’el?»

«Non lo so.»

Brava Rebecca, bella risposta! Meglio dire che non sapeva dove fosse piuttosto che tirare in ballo qualche malattia.

«Si drè a vedè de fam crepà?» reagì la Stampina.

A quel punto la perpetua avrebbe dovuto chiudere la porta della canonica e buonanotte ai suonatori!

La Stampina però scoppiò in lacrime. Sincere, nessuno lo metteva in dubbio. Sincere, ma ricattatorie. Un animo sensibile non poteva fingere di non vederle.

La Rebecca infatti, che oltre all’animo sensibile aveva anche voglia di saperne di più, colse al volo l’occasione.

Povera donna, venite dentro!

«Ma cos’è successo?» chiese.

La Stampina crollò sulla sedia della cucina. Per un lungo minuto boccheggiò.

Era successo tutto nel giro di poche ore e anche una fibra dura come la sua non aveva retto alla prova.

«Gli ho dato tutta la giornata per digerire il rifiuto di quella là» cominciò a dire la Stampina.

“Mument!” pensò la Rebecca.

Chi era lui, chi era quella là.

«Lui, il Geremia, mio figlio, l’altra la Ficcadenti.»

«Bon.»

Avanti allora.

Per tùt el dì era rimasto lì nella sua cameretta, vestito col vestito del suo vecchio, niente lavoro, scemo di un rimbambito, guardava in su il soffitto come se fosse un cinema…

«O poarèt! Malàa?» chiese la Rebecca.

Machè malàa!

Magari!

Stùpit che gnanca un merlo sòta la primavera!

«A ogni buon conto mì…»

Lei, la Stampina, l’aveva lasciato in pace col suo dolore che tanto quei mali lì così privati c’era niente da fare, dovevano passare per conto proprio. Di andare al cotone, niente, giornata persa. Va be’, passi, s’era detta, anche se quel mese la busta sarebbe stata bella magra. Di tanto in tanto aveva buttato l’occhio nella cameretta, vedere se per caso fosse morto.

No, perché respirava.

Ma stava fermo immobile come quei negri delle figurine dei dadi.

«I fachini!» suggerì la Rebecca.

«Pròpi.»

Fare per fare lei aveva fatto finta di niente. Però verso sera aveva messo là un po’ di frattaglie di pollo che anche suo marito aveva dato segni di vita e, siccome il Geremia quando faceva quella cosa, era capace di leccare fin la padella, aveva scommesso che sarebbe arrivato a tavola.

«E invece?»

Invece no.

«E i busècc?» si informò la perpetua.

A lei non piacevano, suo marito non poteva mangiarle…

«S’eri de fà? Ghi ò dà ai gàt!»

«Pecàa! Peccato!»

Peccato sì, comunque, frattaglie a parte, poteva mica lasciar lì suo marito a dormire per la seconda notte di fila sulla sedia.

«E no» approvò la Rebecca.

«Al ciàmi, gh’el dìsi, rànges, el me rispònt.»

«Vilàn!»

Più che villano!

Va ben le pene d’amore, ma un padre è sempre un padre, anche se incartapecorito.

Quindi era andata in camera, si era messa ai piedi del letto e gli aveva detto di smetterla di fare l’opera lirica, che di donne c’era pieno il mondo e prima o poi sarebbe saltata fuori anche quella giusta per lui.

Allora il Geremia le aveva detto che lui la donna giusta l’aveva già trovata.

«La Ficcadenti!» scappò alla perpetua.

«C’è in giro già la voce?» si allarmò la Stampina.



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