Memorie di un cane giallo by O. Henry

Memorie di un cane giallo by O. Henry

autore:O. Henry [Henry, O.]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Adelphi
pubblicato: 2019-11-29T16:00:00+00:00


Il quattro di luglio nel Salvador

Un giorno estivo – la città impazziva di corrusco frastuono patriottico – Billy Casparis mi raccontò la seguente storia.

A suo modo, Billy è Ulisse junior. Come Satana, se ne va su e giù e avanti e indietro per la terra. Domattina, mentre a colazione state rompendo il vostro ovetto, quello, con la sua valigetta di coccodrillo, sarà magari in mezzo al lago Okeechobee a speculare sulle aree edificabili, o a mercatar cavalli coi Patagoni.

Ce ne stavamo seduti attorno a un tavolino rotondo, ed avevamo davanti bicchieri con dentro certi pezzi di ghiaccio, e sulle nostre teste svettavano palme artificiali. Elementi, questi, costitutivi di una certa altra situazione che gli tornò alla mente, onde Billy fu mosso a raccontare.

«Mi ricordo,» cominciò «un quattro di luglio che contribuii a celebrare, laggiù, nel Salvador. Allora avevo una fabbrichetta di ghiaccio, visto che la miniera d’argento del Colorado me l’ero ormai spesa tutta quanta. Avevo, come la chiamavano, una “concessione condizionale”. Mi avevano fatto depositare mille dollari in contanti, con l’impegno che avrei prodotto ghiaccio ininterrottamente per sei mesi. Se ci riuscivo, mi ripigliavo il deposito. Caso contrario, il malloppo se l’arraffava il governo. Quindi, ispettori ne venivano in continuazione: volevano beccarmi senza la mercanzia.

«Un giorno – quarantacinque gradi all’ombra, ore una e mezzo, calendario aperto sul tre di luglio – mi si intrufolano in casa due ficcanasi piccoletti, scuri scuri, untuosi, in calzoni rossi: vengono a fare l’ispezione. Ora, da tre settimane la fabbrica non aveva più prodotto ghiaccio, nemmeno un’oncia; e non senza ragione. Quei pagani salvadoregni non volevano saperne; dicevano che a metterlo nelle cose le faceva diventare fredde. Né io potevo più fabbricarne, perché ero al verde. Solo a questo mi attaccavo, di potermi riprendere quei mille dollari, e lasciare il paese. I sei mesi scadevano il sei di luglio.

«Bene, io mostrai loro tutto il ghiaccio che avevo. Alzai il coperchio di una tinozza un po’ in ombra, dove era un blocco di ghiaccio di cento libbre, elegante, bello, persuasivo. Stavo già per riabbassare il coperchio, quando uno dei segugi brunastri si piega sui ginocchi in rosso e tocca con mano calunniosa e brutale la mia garanzia di buona fede. Dopo due minuti, eccolo lì sul pavimento, quel meraviglioso blocco di vetro lavorato, che a farmelo venire da Frisco m’era costato cinquanta dollari.

«“Ghiaccio... eh!” dice il tipo che mi ha tirato la botta. “ Ghiaccio caldoo, ehh! Sì, eh, già, giornata calda, señor. Sì, forse può darsi sia desiderabile che vada a mettersi un poco fuori a prendere fresco, ehh? Sì”.

«“Sì,” dico io “sì”, tanto sapevo che ormai m’avevano beccato. “Toccare per credere, vero, ragazzi? Sì. Ora, c’è gente che magari sostiene che voi il fondo dei pantaloni ce l’avete blu, per me è rosso. Controlliamo con mani e piedi”. E sulla punta della scarpa scaraventai fuori tutt’e due gli ispettori, ed io sedetti a sbollirmi gli umori su quel blocco di spregevole vetro.

«E, quant’è vero che io non mangio fieno, mentre me ne stavo



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