La ripetizione by Andrea Camilleri

La ripetizione by Andrea Camilleri

autore:Andrea Camilleri [Camilleri, Andrea]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Racconti
pubblicato: 0100-12-31T23:00:00+00:00


Nota

La ripetizione è un racconto direttamente suggeritomi dalla Vucciria di Guttuso. Il modo che mi è più congeniale per renderle omaggio. Giuseppina Restivo nel suo Le Soglie del postmoderno: Finale di partita (Bologna 1991) ha incontrovertibilmente dimostrato come appunto il beckettiano Finale di partita riutilizzi le situazioni visive e gli oggetti contenuti nell’incisione Melencolia di Diirer.

Un narratore o un commediografo, davanti alla Vucciria, avrebbero materia di scrittura sino alla fine dei loro giorni.

La vucciria la conosco bene.

Negli anni 1944-1947 frequentavo l’università di Palermo e quasi ogni giorno mi ci recavo per mangiarmi ’u pani cu ’a meusa di cui ero ghiottissimo. E spesso la sera andavo alla mitica trattoria Panarelli col solito gruppo d’amici, Marcello Carapezza, Leo Guida, Giuseppe Ruggero, Angelo Musco jr e altri.

Era un luogo che apriva la fantasia.

Perché era un luogo dov’erano possibili accadimenti impossibili altrove. Quando Guttuso fa lo scherzo di chiedere a qualcuno che ha appena visto la sua grande tela quante persone vi siano raffigurate, ottiene quasi sempre risposte sbagliate o incerte.

E non può essere altrimenti, perché Guttuso sa bene d’essere riuscito a suggerire il fenomeno delle apparizioni-sparizioni che vi è (o vi era) così consueto.

Per esempio, se contate le figure umane centrali, a partire dalla donna di spalle con i sacchetti di nylon in mano, di primo acchito vi paiono essere sei. Invece sono sette. Del settimo, che è appena passato sotto la lampara centrale, s’intravede solo la testa con la coppola.

Sta scomparendo o sta comparendo?

Nel 1944 c’era, nella vucciria, il negozio privo d’insegna di don Jachino. Era una cameretta a pianoterra di quattro metri per quattro, senza nemmeno una finestra, i cui muri erano interamente ricoperti di ripiani di legno assolutamente vuoti. Non una scatola, un barattolo, niente. C’era anche un minuscolo bancone che sopra aveva solo un dito di polvere e basta.

Don Jachino se ne stava sempre seduto sopra una sedia di paglia accanto alla porta. Che diavolo vendeva? Cominciai a essere sempre più intrigato. Misi il negozio sotto stretta sorveglianza.

Così ebbi modo di notare che ogni tanto qualcuno s’avvicinava a don Jachino e, chinandosi, gli sussurrava qualcosa. Don Jachino non rispondeva con le parole, con la testa faceva cenno di no o di sì e quando diceva sì, con le dita formava un numero, tre, cinque, sei...

Finalmente ebbi fortuna. Un giorno vidi ricomparire un signore al quale don Jachino, tre giorni avanti, aveva risposto di sì mostrando tre dita. Appena lo vide arrivare, don Jachino si alzò ed entrò nel negozio. Si chinò, prese da dietro il bancone un grosso pacco e lo porse al signore. Il quale, dopo aver deposto sul bancone dei biglietti di banca, messosi sottobraccio il pacco, si voltò, fece un passo e sparì. Letteralmente.

Restio come sono a credere alla magia, approfittai che don Jachino indugiava a contare i soldi per infilare la testa, per un attimo, dentro al negozio. Nella parete di destra, invisibile dalla porta esterna, c’era una strettissima apertura che immetteva in un’altra stanza. Che era certamente dotata di un’uscita posteriore.

A farla breve, don Jachino vendeva refurtiva su commissione.



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