Il riformismo mancato by Marino Livolsi

Il riformismo mancato by Marino Livolsi

autore:Marino Livolsi
La lingua: ita
Format: epub
editore: Bollati Boringhieri
pubblicato: 2016-05-05T00:00:00+00:00


5. Dopo…

La fine delle giunte di sinistra fu, come si è visto, essenzialmente una questione politica. Ma il «segno dei tempi» influì notevolmente. Non a caso, il passaggio di testimone da Tognoli e Pillitteri è emblematicamente rappresentato dalle personalità dei due sindaci. Il primo schivo, semplice, orientato al fare. Il secondo «uomo di mondo», più di relazioni che guida politica. Secondo una definizione di Pansa era il «Franti del Craxismo milanese». Questa e altre non erano definizioni obiettive: dipendevano ovviamente dal suo essere cognato di Craxi. In realtà, aveva iniziato da tempo il suo cursus politico, era studioso (aveva insegnato all’università) di cinema.

Il nuovo sindaco dava il suo meglio negli incontri ufficiali e nelle manifestazioni pubbliche. Toccanti furono le commemorazioni di due sfortunati protagonisti della precedente stagione milanese: Enzo Tortora e Walter Chiari e quella (a un anno dalla sua morte) di un grande milanese, l’editore Rizzoli, che aveva costruito un impero nel campo dell’editoria partendo dalla sua condizione di Martinitt. Era forse meno abile nella regia della sua giunta (che fu più volte oggetto di necessari rimpasti) e nella messa a punto di grandi progetti per la città che stava vivendo una prospettiva sempre più europea.

Nelle elezioni del 1987 solo DC e PSI mantennero le loro posizioni e, anzi, guadagnarono consensi, mentre il PCI risentì della profonda crisi a livello nazionale. Il dato da segnalare è però l’apparizione di uno «strano» movimento: la Lega Lombarda. L’allora suo sconosciuto leader (Bossi) annunciò spavaldamente che erano pronti a «conquistare Milano». Sembrò una spacconata: invece, qualche anno dopo, un loro candidato (Formentini) sarebbe diventato sindaco.

Queste elezioni segnalarono anche un altro fenomeno importante: comparvero i primi spot elettorali, per merito dello stesso pubblicitario inventore dello slogan «Milano da bere» e di un’intraprendente politica democristiana (Silvia Costa). Mancavano solo sei-sette anni alla «discesa in campo» di Berlusconi e al suo sapiente e spregiudicato utilizzo degli spot politici.

Il ricorso alle tangenti (ormai prassi abituale) e la «finanza d’assalto» (che attirava i risparmi dei nuovi benestanti che volevano avere sempre più denaro da spendere) furono i due caratteri principali della prassi politico-sociale del tempo, non solo a livello cittadino. In questo contesto, assolutamente non trasparente, si facevano grandi affari. I palazzinari dominarono la città; Gardini, venuto dalla provincia, conquistò sia pure per poco tempo la Montedison.

La zona «grigia» tra pubblico e privato fu il terreno della costruzione di carriere e guadagni incredibili. Con un ulteriore risvolto perverso: la mafia diventò sempre più presente. Una diffusa microcriminalità impose i suoi tristi riti nelle vie del centro o della nascente movida. Sul versante opposto, i centri sociali manifestarono la loro rabbia al suono della musica rock e con la pratica degli espropri: ciò spaventò i ricchi borghesi che espressero a gran voce la loro esigenza di sicurezza.

La presenza della chiesa cattolica era ancora una voce importante, anche se non sempre ascoltata: il cardinale Martini fu sempre più un punto di riferimento autorevole non solo per i credenti. Non c’erano solo le parole del cardinale; alcuni preti di strada (don Mazzi, fratel Ettore) si impegnarono in favore dei poveri ed emarginati.



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