Il genocidio armeno by Omar viganò

Il genocidio armeno by Omar viganò

autore:Omar viganò [viganò, Omar]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Historica - Giubilei Regnani
pubblicato: 2024-03-14T23:00:00+00:00


Il risveglio

Levi annotava ancora: «Guardando questi visi, questi passi, quest’altero mondo così lontano da quello compatto, semplice e deciso di Mosca, mi viene naturale immaginare che la giovane civiltà russa, così precisa, così ordinata nelle sue misure, così mossa in un solo senso, abbia, si può dire, due sole dimensioni, e che forse la terza, quella che dà corpo, spessore e realtà alle cose, le è data da questa gente periferica e dispersa, da questi piccoli, antichi popoli come l’armeno, che portano in un mondo fatto di idee una loro misteriosa e corporea alterità». Orizzontale e verticale sono state le assi cartesiane dentro le quali il sistema sovietico ha stabilito le sue coordinate: lecito e proibito, propaganda e censura, memoria e oblio. I paesaggi cittadini, con le strade ridisegnate e i simboli innalzati manifestavano la dinamica del regime, che fu anche quella dei suoi ultimi giorni quando i monumenti coi volti del potere vennero atterrati. A Erevan, nell’aprile del 1991, la statua di Lenin venne prima decapitata poi rovesciata: ciò che ne resta è oggi posato in un cortile all’aperto del Museo di Storia Armena. Ma la capitale, già durante l’era sovietica, aveva assistito all’erezione e al collasso degli stessi simulacri, traslocati in scantinati e magazzini abbandonati. Quando Vasilij Grossman descrisse il maresciallo di bronzo disse che attorno al suo capo andavano addensandosi nubi minacciose: alcuni anni prima il Segretario Generale del PCUS, Nikita Chruščhëv, aveva sorprendentemente denunciato davanti ai delegati del partito riuniti a Congresso i crimini delle purghe e le deviazioni del lungo governo staliniano. Era il 1956 e il leader sovietico era scomparso da tre anni: le statue di se stesso, che aveva innalzato quando ancora era in vita, vacillarono. Molte iniziarono a essere smontate dalle autorità perché considerate simboli di un culto personale che aveva inquinato il socialismo, ma anche perché non divenissero bersagli di proteste e insurrezioni come in Ungheria; anche quella nel Parco della Vittoria fu deposta per far posto a un altrettanto titanico memoriale intitolato alla Madre Armenia, come omaggio ai sacrifici nella Guerra Patriottica. La nuova gigantesca figura apparve sul profilo della città nel 1967, ma nel frattempo era accaduto qualcosa che l’aveva rivestita di altri significati160.

Grossman era giunto in Armenia subito dopo che il suo romanzo capolavoro, Vita e destino, era stato sequestrato dal KGB. La morte di Stalin non aveva messo fine ai meccanismi di rimozione dello Stato, alle censure e i suoi apparati: il sistema sopravviveva al cambio dei tempi e degli uomini. Lo scrittore, tuttavia, confidava nel senso del bene come la parte essenziale e intangibile dell’interiorità, sia individuale che collettiva, una sorta di resistenza alla cieca indifferenza delle ideologie. Una resistenza che Grossman scorgeva anche nella trama urbanistica di Erevan su cui la mano sovietica aveva cercato di imprimere il proprio marchio, senza riuscirci fino in fondo: «I cortili interni! Non le chiese o gli edifici governativi, non le stazioni, né il teatro o la Filarmonica e nemmeno i tre piani dei grandi magazzini, ma i piccoli cortili interni sono l’anima, il cuore di Erevan»161.



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