Galapagos by Francisco Coloane

Galapagos by Francisco Coloane

autore:Francisco Coloane [Coloane, Francisco]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Guanda
pubblicato: 2021-02-01T23:00:00+00:00


L’Unione internazionale per la conservazione della natura e l’Unesco hanno dichiarato «Patrimonio dell’Umanità», in accordo con il governo dell’Ecuador, tutti gli esseri viventi dell’arcipelago, dai molluschi tra le scogliere fino alle tartarughe giganti rimaste, le galápagos, che vengono accolte in una riserva speciale, dove vivono come superstiti di un affascinante passato remoto. Cacciatori di balene, pirati e filibustieri, nel giro di pochi secoli, hanno sterminato centinaia di migliaia di esemplari che un tempo popolavano questo Giardino dell’Eden proteso sulle vastità dell’oceano Pacifico.

La solitudine assoluta, abituale per tanti animali ma inquietante per gli esseri umani, mi mise un brivido nelle ossa, malgrado il caldo: la guida si era allontanata per raggiungere gli altri, e a mia volta mi incamminai sulle loro tracce.

Passando da un punto dove le foche stavano mangiando i germogli delle mangrovie, ripensai alla mia infanzia, e cominciai a fischiare a una foca perché mi seguisse. A un tratto, una donna alta e sgraziata, piuttosto avanti negli anni, si rivolse a me dicendo perentoria: «Sleeping, sleeping». Io emisi un altro fischio, e quella ripeté: «Sleeping, sleeping».

Con quei suoi stralunati «sleeping», mi fece tornare alla memoria un verso dal Prometeo di Shelley, che provai a declamare nel mio precario inglese:

In the world unknown

Sleeps a voice unspoken;

By thy step alone

Can its rest be broken.

Temo che la signora non avesse gradito la citazione, e probabilmente tra lei e me c’era meno comprensione che tra me e le foche, a cui fischiavo come se fossero cani da pastore del mare: si allontanò infastidita. Comunque, la traduzione del verso di Shelley, con la dovuta licenza poetica, dovrebbe essere più o meno questa:

En el mundo, desconocida,

duerme una voz no pronunciada;

sólo el sonido de tus pasos

será capáz de despertarla.

In uno dei miei racconti, La parte sommersa dell’iceberg, che fa parte della raccolta Terra del Fuoco, tanto apprezzata dall’amico scrittore cileno Manuel Rojas, c’è un dialogo con un bambino che dice:

«Papà non parla mai.»

«Sì che parla: parla con gli alberi, con le nuvole e con le pietre.»

Il bambino scoppiò a ridere e io non potei che fare altrettanto, anche se avrei avuto voglia di piangere...

Duemila anni fa vivevano in armonia con l’aspra natura di Capo Horn comunità di indios chiamati yagán, storpiatura inglese della parola «yamán», che secondo alcuni studiosi significava semplicemente «noi». Allo stesso modo chiamavano «gli altri» quanti vivevano al di là del tempestoso Capo Horn, che di fatto li proteggeva.

Era un buon rifugio per quegli abili navigatori che a bordo di canoe erano discesi lungo la costa occidentale dell’America ricorrendo a pelli di foca gonfiate, come fece anche il marinaio Herman Melville sull’isola Narborough delle Galápagos.

Furono quegli stessi pirati, filibustieri, bucanieri, cacciatori di foche e balene, che passarono da Capo Horn, a sterminare prima gli animali e poi gli indios yamán.

Quei bambini, una volta cresciuti, non ridevano più ascoltando gli antenati raccontare e cantare, nel vento che sibilava tra le scogliere del Capo Duro, dei tempi andati, quando parlavano con il mare, i leoni e gli elefanti marini, con le balene gibbose o con le orche assassine dalla pinna affilata.



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