Conte Giuseppe - 2018 - Sesso e apocalisse a Istanbul by Conte Giuseppe

Conte Giuseppe - 2018 - Sesso e apocalisse a Istanbul by Conte Giuseppe

autore:Conte Giuseppe [Conte Giuseppe]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788809867413
Google: 2CVHDwAAQBAJ
editore: Giunti
pubblicato: 2018-01-15T23:00:00+00:00


18

«Guarda quelle poltrone!» disse Vero a Giona, distogliendolo dai suoi pensieri.

Erano sulla strada, enormi, in stile falso antico, braccioli e testiere dorate tutte lavorate in fregi che disegnavano vistosi ghirigori, cuscini color avorio gonfi e trapuntati, come ti immagini nella residenza di un pascià. O, ancor più, di un camorrista.

Invece erano lì, a lambire il traffico continuo di İstiklal Caddesi, la folla costantemente in movimento, appena fuori della porta di un locale, bar e pasticceria, con una vistosa insegna: Barcelona Cafè.

Vero fu presa da un’allegria infantile a vederle.

«Ma che ci fanno in mezzo alla strada, perché così grandi e così cafone?»

«Bisogna chiederlo al padrone del Barcelona Cafè.»

«Sono incredibili» disse Vero e scartò verso una di quelle poltrone; ci si lasciò andare sopra.

«Dài, vieni» gridò a Giona.

Lei lo avrebbe voluto sulla sua: il posto c’era, eccome. Ma Giona preferì sedersi in quella vicino.

Ordinarono tè e un vassoio di pasticceria, dolci al miele, ai fichi, alle mandorle.

Vero mangiò di gusto, diversamente dal solito.

Se ne stava quasi sdraiata su quella poltrona gigante, spingeva spesso in fuori le gambe tese e fermava lo sguardo in controluce su quelle scarpe, come se volesse capire che effetto facevano ai suoi piedi.

«Ti guardano tutti» le disse Giona.

«Lasciali guardare.»

Passavano ragazze in gonne corte, in abiti scollati, altre in jeans, altre ancora velate.

Quando ne passò un’alta e un po’ formosa, dalla pelle bianca e dai capelli fini e chiari, Vero gli chiese:

«Era così la tua russa?».

«Non mi ricordo niente di lei» mentì Giona. Sperava che Vero avrebbe subito accantonato quell’argomento.

«Sei stato un gran porco.»

«Hai ragione.»

«Non voglio pensarci.»

«Te ne prego.»

«Mi piace stare su questa poltrona che dà sulla strada, non mi sembra di essere al tavolino di una pasticceria, ma al teatro, uno strano teatro all’aperto dove la via fa da palcoscenico e i passanti da attori, una compagnia infinita, e noi due soli gli spettatori, noi due soli, pensa che privilegio.»

Giona fu contento di vedere Vero così a suo agio, dopo la burrasca che li aveva divisi e che lui aveva temuto che potesse ricominciare. Niente.

Il suo peccato con la ragazza russa, con la povera Tania, che alla morte di Akif chissà se aveva potuto affrancarsi da quella vita o se era già caduta nelle mani di un altro commerciante di carne umana, era stato considerato veniale al tribunale di Vero.

Almeno questo.

Giona stava già pagando abbastanza, un prezzo di paura e di ansia che non avrebbe mai immaginato quando aveva sciaguratamente consegnato 200 dollari ad Akif, che aveva scritto a chiare lettere il suo nome e il suo indirizzo su quel taccuino nuovo di zecca.

Se era finito nelle mani dell’assassino, costui aveva l’indirizzo del piccolo Best Western dove lui non abitava più. Giona doveva ringraziare Vero, la sua ricchezza, il suo frequentare di regola hotel a cinque stelle. E quella generosità imprudente che le aveva fatto accantonare l’idea di stare in alberghi separati e invitare Giona a trasferirsi nel suo.

Se no, sarebbe stato rintracciabile, anche lui.

Bastava quel pensiero per dargli un brivido su per la schiena, per metterlo in



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