Con cuore di donna by Carla Capponi

Con cuore di donna by Carla Capponi

autore:Carla Capponi [Capponi, Carla]
La lingua: eng
Format: epub
editore: il Saggiatore
pubblicato: 2023-04-26T22:00:00+00:00


A corso d’Italia, angolo via Po, c’è ancora oggi una bizzarra palazzina in stile liberty, una pensione di lusso che era stata occupata dal Comando territoriale tedesco. Nel gennaio 1944 i Gap studiarono il modo di attaccarla. Paolo, Enzo Russo e Franco di Lernia decisero di utilizzare due spezzoni da depositare in prossimità di uno degli ingressi all’interno del giardino onde evitare che la bomba, posta sulla finestra, colpisse dei passanti.

Procurati i due spezzoni, raggiunsi Enzo Russo e ci sedemmo su una panchina ad aspettare Paolo e Franco; cominciò a piovigginare ed Enzo aprì l’ombrello per ripararmi. Paolo aveva deciso che lui e Franco avrebbero posto gli spezzoni, mentre Enzo avrebbe fatto da copertura insieme a me: ma io non accettai e pretesi di compiere l’operazione con Paolo, lasciando Franco ed Enzo a farci da copertura; non c’era tempo per discutere e, consegnato a Paolo il suo spezzone, tenni per me il secondo. Franco ci seguì con Enzo. Giunti davanti al cancello della pensione, dal lato di corso d’Italia, Paolo accese il suo spezzone e Franco il mio, poiché non avevo fiammiferi. Lasciammo ruzzolare i due ordigni oltre le sbarre del cancello fino all’ingresso della villa; erano a tempo e ci allontanammo di corsa. In quel momento un militare tedesco voltò dalla via Po sul corso d’Italia, quasi scontrandosi con noi: non so quale istinto mi spinse ad afferrarlo per il braccio gridandogli «Bada, stai attento». Paolo mi tirò via e in quel momento la bomba esplose: solo allora mi accorsi che la pioggia scrosciava violenta e gelida. Enzo ci raggiunse con l’ombrello e insieme attraversammo la strada. Allora ci ricordammo che lì a un passo, in via Romagna, c’era la pensione Jaccarino dove la banda del tenente Koch aveva installato il carcere con le sale di tortura per i patrioti: ci accorgemmo in tempo che stavamo infilandoci in bocca al lupo. Ci allontanammo veloci, Paolo e Franco ci seguivano; poi ci dividemmo e ciascuno tornò al suo rifugio. Paolo mi chiese spiegazione del mio gesto – l’aver tentato di salvare quel soldato tedesco –, ma non c’era spiegazione logica, c’era solo la conferma che era difficile accettare l’idea della morte e che in noi restava ancora vivo l’istinto della pietà.

Malgrado avessero più volte dichiarato Roma «città aperta», i tedeschi continuavano a usarla come centro di smistamento delle truppe che combattevano sul fronte di Cassino, e lungo i viali tutta la città era occupata dai camion che ne regolavano il trasporto.

Eravamo decisi a impedire che Roma divenisse una retrovia delle forze armate naziste. Le truppe e i mezzi militari sostavano solamente durante il giorno; non appena scendeva la notte, le colonne riprendevano la marcia verso il fronte. Paolo prese l’iniziativa di organizzare con il Gap Pisacane un attacco alle colonne di camion che percorrevano corso d’Italia di notte per uscire sul Lungotevere attraversando piazzale Flaminio. Aveva progettato l’attacco dal cavalcavia del Pincio e mi incaricò di procurare il materiale esplosivo. Fernanda non riuscì ad aiutarmi e dovetti ricorrere agli amici del Centro militare clandestino, con il quale mantenevo i rapporti attraverso Luciano.



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