Quel che resta by Virginie Grimaldi

Quel che resta by Virginie Grimaldi

autore:Virginie Grimaldi [Grimaldi, Virginie]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Edizioni e/o
pubblicato: 2024-02-12T23:00:00+00:00


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Théo

Mi stanno simpatiche le due vecchie, non è questo il punto, ma mi piacerebbe che la piantassero di frignare a ogni piè sospinto. Hanno spalancato le porte dei condotti lacrimali, di questo passo sommergeranno l’umanità. Stasera, tornato a casa dopo una giornata noiosa di brutto, le trovo che piangono in duetto. Sembrano una fontana, mi viene da tirarci una moneta ed esprimere un desiderio. Appena mi vedono smettono e scoppiano a ridere. Ne ho vista di gente strana in vita mia, ma qui siamo ad alti livelli.

Saluto da lontano e filo in camera mia. Mentre ero al lavoro ho ricevuto una chiamata dal centro in cui sta mia madre. L’infermiere mi ha lasciato un messaggio, stanotte ha avuto un’embolia polmonare ed è ricoverata. Appena ho letto il messaggio l’ho richiamato e mentre il telefono squillava ho immaginato tutto. Quando l’infermiere mi ha detto che le sue condizioni erano stabili ho provato sollievo, ma subito dopo ci sono rimasto male. Un giorno mi chiameranno per dirmi che è morta e ci starò malissimo, perché vorrà dire niente più speranza, niente più perdono, niente più mamma, ma sarò felice per lei perché si sarà liberata del suo corpo spento e di una vita troppo inarrivabile per lei. È capitato che mi raccontasse qualche frammento della sua infanzia: chiunque al suo posto avrebbe reagito come lei, si sarebbe anestetizzato pur di non vivere con quei ricordi.

Andrò a trovarla appena la dimettono dall’ospedale, fra qualche giorno secondo l’infermiere.

Mi metto un po’ al telefonino, guardo video inutili, aspetto che il tempo scorra e porti con sé il mio umore lugubre.

Jeanne viene a dirmi che ha preparato un gratin di topinambur e che fra mezz’ora sarà pronto. Non so cosa sia, il nome non mi ispira molta fiducia, ma ho fame e preferisco mangiare con loro che con il telefono.

Ho il tempo di farmi una doccia. Mi preparo mutande e maglietta pulite e vado in bagno. Iris si lava la mattina, Jeanne quando ce ne andiamo e io la sera, secondo una cadenza che è venuta da sé. Apro la porta senza accorgermi che la luce è accesa.

«Aaaaaaaahhhhh!» urla Iris, nuda sotto la doccia.

«Aaaaaaaahhhhh!» urlo io vedendole la pancia tonda.

Mi spinge contro la porta come una pedina di domino, la porta si chiude, ci ritroviamo tutti e due nel piccolo bagno in cui sono costretto a guardare il soffitto se non voglio incappare in tette, culo o, peggio, una pancia da donna incinta. Jeanne tamburella alla porta.

«Tutto bene?».

«Sì sì» risponde Iris. «Mi era sembrato di vedere una cosa, ma mi sono sbagliata».

«Molto credibile come scusa» sussurro. «Sei incinta?».

Lei si avvolge un asciugamano intorno alla vita.

«No».

«Ah. Allora mi spiace informarti che hai un brutto gonfiore alla pancia».

Iris non risponde e mi sbatte fuori dal bagno.

Torno in camera pensando che il mondo è popolato da gente bizzarra. Quand’ero piccolo psicologi e professori volevano assolutamente che fossi come gli altri nonostante la mia situazione. Sembrava che per loro fosse importantissimo. Appena facevo qualcosa di strano, appena mettevo un piede fuori dalla casellina mi convocavano e facevano di tutto perché ci rientrassi.



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