Afghanistan solo andata: storie dei soldati italiani caduti nel paese degli aquiloni by Gian Micalessin

Afghanistan solo andata: storie dei soldati italiani caduti nel paese degli aquiloni by Gian Micalessin

autore:Gian Micalessin [Micalessin, Gian]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Biography & Autobiography, General, History, Wars & Conflicts, Afghan War (2001-2021), Political Science, International Relations
ISBN: 9788860523952
Google: ChRsXwAACAAJ
editore: Cairo
pubblicato: 2011-06-15T22:00:00+00:00


La voce della radio rimbalza tra le scale, indugia nell’atrio, rimbomba piano tra le pareti. Lo richiama lento dal sonno. Gli schiude mezz’occhio. Dalle persiane sbarrate trapelano ombre d’inverno, chiarori di neve e gelo. Si rannicchia tra le coperte, stringe le ginocchia alla pancia. Il sonno non risale. Si tira la coperta fin su. Fin quando i rumori del salotto sono un balbettio flebile. Fin quando la lana cancella la luce incerta del mattino. “Mamma… mamma… mammina.” Lei è giù. Piegata sul tavolo di cucina, tra l’odore del caffè e la radio accesa. Distribuisce tazze e posate. Non sente. “Papino… papino… papà.” Stessa storia. Lui è giù nel bagno, la faccia come Babbo Natale, gli occhi puntati nello specchio, la mano sinistra intorno al capo a tirar basetta e tempia, il rasoio nell’altra che scivola lento, apre solchi di pelle nella schiuma profumata di mandorla e spezie. “Papà… papino… mi senti?” Mario guarda il rasoio. La voce della radio si confonde in quel soffio di spuma sbavato tra lobo e timpano. Il governo oggi approva… mentre continua la violenza… attentato… hanno sparato…

“Cosa approva… chi ha sparato?” Mario distingue appena parole e suoni nel gorgoglio d’acqua, rumori di cucina, pensieri veloci, sguardi fissi sulla lama.

“Papà, mamma dove siete?…” Niente. Laggiù nessuno lo ascolta. Stringe le orecchie nelle mani, scalcia nel letto freddo. Da là sotto ancora nulla. Solo le urla della radio, solo il guazzabuglio della cucina. Strilla più forte. “Papà, mamma…. dove siete? Uffa… perché non rispondete?” Si è seduto sul letto. Le gambe dondolano nell’aria. È stufo di chiamare. Si lascia scivolare, si gratta gli occhi, scava tra sedia e armadio. C’è il cestino, quello della merenda all’asilo. Lo apre. Le mutandine, quelle di ieri sera, sono sulla sedia. Le butta dentro. C’è anche la maglietta. Le scarpe chissà dove le hanno infilate. Scende a tentoni sotto il letto. La testa sbircia a destra e sinistra nella penombra della stanza, nel nero di quell’antro tra coperte e materasso. Non ci sono. E neanche le calze. Infila le ciabatte. Quelle sono lì, sotto il letto. Si passa il braccio sugli occhi. È pronto. Scende la scala. Un gradino alla volta, il braccio sinistro davanti al petto, la mano sinistra attaccata alla balaustra, quella destra stretta attorno al cestino. La porta del bagno è socchiusa. Ci sbircia dentro. Papà è lì in pigiama e canottiera. Si liscia le guance con le mani. La fessura è una nuvola dolciastra di dopobarba e bagnoschiuma. Stringe la mano sul naso, ciabatta in punta di piedi, scivola in cucina, spinge dentro la testa. Mamma è dietro al tavolo. Solleva la moka, regola il gas. Lui saltella via in tre passetti leggeri. Alza un piede dopo l’altro, l’appoggia piano sul legno del corridoio. La porta in fondo è un’ombra nera. A ogni passo la testa affonda tra le spalle, i muscoli della gamba tesi come una corda si muovono lenti tra mezzi scricchiolii di assi e parquet. Si ferma nella penombra, gira il capo. Lì dietro è tutto come prima.



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