4 Come i tulipani gialli by Cristina Rava

4 Come i tulipani gialli by Cristina Rava

autore:Cristina Rava
La lingua: ita
Format: azw3, epub, mobi
Tags: Biographies & Memoirs, True Crime, Murder & Mayhem, Literature & Fiction, Mystery, Thriller & Suspense, Thrillers & Suspense, Crime, Foreign Languages, Italian, Biographies, Diaries & True Accounts, Thriller & Mystery, Foreign Language Fiction, Crime Fiction, Noir, Thrillers
ISBN: 9788875637439
editore: Fratelli Frilli Editori
pubblicato: 2009-07-16T22:00:00+00:00


Ottavo capitolo

in cui non soltanto mi sento una principessa, mangio cose molto buone e molto kasher, ma un dubbio, piccolo e implacabile come un cavaturaccioli, mi si conficca nella mente

Lo metto il Magen David o non lo metto? Con lui che è un ebreo vero, potrebbe sembrare un’ostentazione sciocca, non mi ricordo più se le volte che ci siamo incontrati lo avessi al collo o meno, mah, sarà poi così importante? Ce l’ho quasi sempre, sia d’inverno che d’estate, perché non dovrei indossarlo questa sera? Lo metto e metto gli orecchini con le perle grigie e i brillantini, quelli che mi aveva regalato la buonanima di mio marito un numero spaventoso di anni fa. Vestito turchese? No, sono troppo pallida, non vado mai al mare, devo prendere un po’ di sole. Quello beige? Bleah, sembro convalescente da qualcosa di tremendo. Nero? E che palle, sempre nero! Okay: nero, fa un po’ yiddish mome[1], ma ci sarà abituato. Chignon o treccia? E perché non trecce? E dove vado a cinquant’anni con le trecce? Vado un po’ dove mi pare e poi dove sta scritto che alla mia età sia obbligatorio portare i capelli corti pettinati da ‘signora bon ton’?

Sassicaia: praticamente una donazione di sangue da cinquecento grammi per l’Avis ti lascia meno stordito, però semel in anno licet insanire, dicevano i latini, il mio problema è che io insanisco molto più spesso.

Già dalle scale si sente profumo di cucina, un profumo strano, solo che in questa casa è difficile stabilire se arrivi dai fornelli israeliani o da quelli arabi.

Mi accoglie con un impeccabile grembiule nero ed un mestolo di legno in mano. Ci scambiamo i bacini sulle guance e l’atmosfera è quella allegra e confidenziale di una visita allo zio, solo che noi non siamo manco parenti.

“Venga, venga, dottoressa, le faccio strada in cucina, ho finito quasi tutto, ma c’è ancora qualcosa sul fuoco”, chiude la porta alle mie spalle, traffica con l’allarme e mi precede trotterellando verso i fornelli.

C’è odore di buono, di fritto, che magari non è salutare ma indubbiamente è un bel modo di cuocere, si sente anche una nota di pesce e non solo, di aglio, di pomodoro, in una parola di Mediterraneo, un odore che non solo titilla la papilla, ma scalda il cuore, sa di casa, di accoglienza, un odore anche un po’ genovese.

Ha preparato la tavola in una saletta raccolta, oltre la misteriosa porta dalla quale avevo visto apparire Dybbuk la prima volta. Tovaglia di Fiandra, bicchieri di cristallo di Boemia, piatti di porcellana inglese, sono sicura che non ci sia niente di tedesco, posate d’argento. Una deliziosa tavola per due, con tanti tulipani gialli e i candelabri dello shabbat, uno shabbat che sta finendo.

“Sarà una cena eclettica, un po’ d’Italia, un po’ di ashkenazi[2], un po’ di Medio Oriente, i miei mondi, e lei giudicherà come me la sono cavata, ma soprattutto cosa preferire”.

“Dottor Steiner, sono lusingata da queste coccole, ma la prego di una cosa, anche se forse le sembrerò inopportuna... Vede,



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